mercoledì 31 agosto 2011

Diverse modalità di apprendimento: VICENS OLIVÉ ILLUSTRA LA TECNICA DE “LA LINEA DEL TEMPO”, da "Guestalt de Vanguardia" di Claudio Naranjo (La Llave, 2002)


Questa è la parte di una relazione su un libro a me caro:"Gestalt de Vanguardia" di Claudio Naranjo (La LLave, 2002).
Il capitolo si intitola:"VICENS OLIVÉ ILLUSTRA LA TECNICA DE “LA LINEA DEL TEMPO” ", scritto dal gestaltista Vicens Olivé.

Vicens dedica parte del paragrafo alla spiegazione delle “idee pazze” o “credenze limitanti” che si apprendono attraverso tre diverse esperienze.
La prima è un’esperienza traumatica importante e significativa, per esempio se ci scottassimo con la fiamma di una candela, apprenderemmo per tutta la vita che quella cosa calda e luminosa ci può scottare. Quindi non è necessario toccare la fiamma un’altra volta per capire che scotta. Questo è un buon apprendimento per la sopravvivenza.
Mentre, se un giorno mia madre mi sgrida severamente, per lo stesso meccanismo potrei pensare che è meglio non fidarsi più delle donne. Ma un esperienza contrapposta potrebbe cambiare il significato della precedente, per esempio se mia madre in un altro momento mi accoglie con affetto lì potrei riorganizzare il mio apprendimento.

La seconda forma di acquisizione di un’idea pazza è attraverso la ripetizione, per esempio se un genitore continua a dire al figlio”ha, tu non capisci”, “è che sei sciocco”,”vedi che non capisci”,”ti rendi conto che non ci fai caso”,”è che sei sciocco”,”vedi, che non ti rendi conto”, e non lo ripetono una volta, ma più volte e magari durante un anno intero. Alla fine un figlio comincerà a credere a quello che gli sta dicendo il genitore per tanto sentire quelle parole, e nel linguaggio della M.Klein il figlio introietta il seno cattivo.

La terza modalità di apprendimento (e qui fa un gioco di parole perché se nella parola spagnola “aprender” aggiungiamo una “h” diventa “aprehender” e significa “arrestare”) avviene attraverso il modellamento ed è la forma più delicata e più inconscia in cui ci imbattiamo.
Da quando siamo concepiti a quando nasciamo e cominciamo a crescere, le persone che ci stanno vicino, i nostri genitori, con i loro caratteri, le loro maniere e i loro comportamenti diciamo che ci “plasmano” nel senso che cominciamo a copiare tutto ciò che loro ci hanno mostrato per sentirci amati perché diventa un modo per sentirsi accettati. Copiamo incoscientemente i nostri genitori perché per noi sono come
 degli dei.
Sappiamo che una credenza è un idea vera per una persona però tale idea è vera oggettivamente o è solo una forma parziale di vedere il mondo?
È ovvio che è una forma parziale di vedere il mondo, ma purtroppo individualmente la percepiamo come la unica, essendo parte della propria persona; e chiaramente gli altri avendo vissuto altre esperienze non la penseranno come noi.
Ma chi si sta sbagliando? Noi o gli altri diversi da noi?
Immancabilmente sarà sempre l’altro a sbagliarsi perché la nostra credenza, essendo le nostre, non ci appaiono bizzarre, contrariamente si che potremo vedere la pazzia nel carattere dell’altra persona, a meno che non cominciassimo a metterci in questione e a vedere la pazzia in noi stessi.

Per vivere e per dare un significa a ciò che viviamo abbiamo bisogno di crearci un nostro sistema di credenze, costituito da idee, opinioni, credenze, criteri, valori, emozioni, decisioni e la terapia esiste nel momento in cui si va a cambiare tale sistema di credenze, “la credenza è come una lente colorata che tieni davanti agli occhi e vedrai dello stesso colore a meno che non togli la lente”.
In PNL esiste l’affermazione che “la mappa non è il territorio”, ovvero che una cosa è come una persona percepisce ciò che sente e che vive, un’altra cosa è l’esperienza oggettiva in sé. Da lì Vicens trova l’importanza della meditazione attraverso la quale ci si può porre ad un livello in cui non esistono credenze, dove non si vede attraverso alcun filtro, dove nulla è conosciuto e dove non c’è nessun apprendimento esperienziale del passato, quindi uno stato di “non ego” che è uno stato molto difficile da perseguire, visto che il nostro ego si espande in tutta la nostra persona , cosciente e incosciente.
E ci si potrebbe dunque ricollegare al discorso di Perls nel capitolo di Zerbetto dove parla del lavoro del terapeuta che deve imparare ad attuare come un “facilitatore” in assenza del proprio ego.
Attraverso la terapia è possibile arrivare alla formazione di idee sane, che non sono altro che credenze aperte a nuove opinioni migliorie più attuali rendendo ogni volta più possibile la congruenza tra la mappa e il territorio.
Per esempio la credenza “Non ci si può fidare degli uomini” potrebbe rendere possibile la credenza solo per alcuni uomini, mentre per altri no. Quindi un’idea sana è un modello del mondo che però è lasciato aperto ad altre possibilità.
Un’idea bizzarra è una compulsione ripetuta, e mentre si ripete si conferma e si autogenera.
Ecco dunque il lavoro che Vicens presenta nel suo paragrafo, il potere terapeutico di cambiare un’idea bizzarra in una sana, cominciando dalla presa di coscienza di avere personalmente una credenza (o un sistema di credenze) e che vediamo il mondo sotto “il prisma” di tale credenza.
A tal proposito c’è una storiella che ci racconta, ed è quella del cadavere che va dal medico. Un uomo va dal medico e dice di essere un cadavere, il medico comincia a dirgli che non è possibile perché cammina, ma l’uomo continua con la sua idea; il medico allora gli dice che non è un cadavere perché parla e perché ha una famiglia, ma attraverso tale logica l’uomo continua nella sua credenza. Allora il medico attua una strategia e gli chiede se i cadaveri sanguinano e l’uomo risponde di, prende il paziente e gli fa un taglio con un bisturi. Quando i sangue comincia a sgorgare l’uomo urla:”Ahhh! si che noi cadaveri sanguiniamo!”
Questo per spiegarci che nonostante a volte la realtà ci dimostri il contrario, la nostra idea bizzarra continua ad essere presente e quindi ci dimostriamo più fedeli al nostro primo apprendimento che all’evidenza della realtà.
Dunque per avere tale cambio terapeutico è importante attuare ad un altro livello di coscienza. È quindi importante individuare una nostra idea bizzarra per poter partire da quella a lavorare.
La tecnica della “linea del tempo” ha una struttura molto semplice e richiama un po’ la tecnica della “hot seat”, perché questa linea del tempo viene immaginata per terra, ha due estremità alle quali corrispondono il passato ed il presente (estremità scelte dal paziente stesso), su cui il paziente si poe fisicamente per ripercorrere gli eventi che ricorda di aver vissuto nel tempo della sua vita.
Olivé ci tiene a precisare che una tecnica tanto semplice è anche molto potente in quello che può suscitare (proprio come la “hot seat”), ma la sua forza non la ritrova nella tecnica, piuttosto nell’impegno che la persona pone nel suo lavoro e nell’impegno di colui che accompagna il paziente nel lavoro. “Siamo noi che come persone rendiamo possibili grandi lavori” e non le tecniche utilizzate.

giovedì 25 agosto 2011

MENTAL TRAINING NELLO SPORT

Il Mental trainer sportivo applica le conoscenze della psicologia dello sport e contribuisce al raggiungimento di grandi obiettivi sia in uno sport di alto livello sia durante le fasi di apprendimento di un’attività sportiva.

I passaggi importanti nel lavoro del Mental trainer sono lo studio e l’analisi degli atteggiamenti e dei comportamenti propri dell’ambito sportivo ed il loro impatto sulla qualità della prestazione, attraverso colloqui e test, e successivamente l’impiego di strategie di intervento volte al miglioramento del gesto atletico.

Esistono caratteristiche psico-fisiche che contribuiscono al successo di un atleta o di un’intera squadra, tra queste il dialogo interno è uno dei fattori determinanti per un buon risultato durante la gara o la partita, perché sebbene l’atleta compia il gesto atletico con ottima tecnica, i pensieri dell’atleta devono essere positivi e ricchi di fiducia verso i propri mezzi fisici e mentali.
Inoltre in uno sport di squadra, come è la palla canestro, il fattore-squadra che viene costruito e cercato durante l’allenamento, non è solo uno schema tattico che si applica automaticamente, ma è un fattore umano che trova forza in buone relazioni interpersonali che si instaurano tra gli atleti della squadra e il loro allenatore.

Il Mental Training è l’allenamento delle principali strategie o abilità mentali più importanti di un atleta, grazie alle quali l’atleta stesso (senza mai dimenticare la sua natura di uomo con i suoi punti deboli e le sue potenzialità) riuscirà nel compito del gesto atletico e nel raggiungimento del risultato, obiettivo del singolo e della squadra.

Abilità mentali su cui si lavorerà e che verranno fortificate attraverso il Mental Training:

Focalizzazione dell'attenzione e concentrazione (Focusing):
la capacità di mantenere l’attenzione per un determinato periodo di tempo su un compito, senza essere distratti da fattori di distrazione interni (come i pensieri negativi) ed esterni (come il rumore della folla)

Incremento della motivazione e dell'autostima
Quando si parla di motivazione, si parla di fiducia in se stessi: se l’atleta avrà fiducia in sé e sulle sue potenzialità, non solo sarà motivato, ma crescerà la probabilità di successo.
Quando l’atleta riuscirà a scoprire che la sicurezza, la stima e l’approvazione non deve cercarli fuori da sè (come valori dipendenti da fattori esterni), ma piuttosto come valori provenienti da dentro di sé, comprenderà di essere un valido giocatore anche se commette degli errori.

Formulazione degli obiettivi (Goal setting)
Molto spesso all’inizio del campionato gli atleti non pianificano una scala degli obiettivi da raggiungere durante l’anno, e questa scarsa capacità di focalizzare gli obiettivi che si intendono raggiungere va a compromettere l’esito della stagione.
Gli obiettivi devono essere suddivisi in sub-obiettivi a breve, medio e lungo termine; saranno obiettivi difficili ma raggiungibili, che puntano al miglioramento della prestazione.

Abilità immaginativa (Imagery)
Attraverso il Mental Training si allena l’atleta alla rappresentazione mentale di immagini visive, andando a stimolare la polisensorialità, e creando un maggior coinvolgimento emozionale e cognitivo dell’atleta.
La capacità di visualizzare diventa parte integrante dell’allenamento. Quando visualizziamo l’attività neuronale è attiva al 100% tanto da poter creare sinapsi ed impulsi che arrivano fino ai muscoli, aumentando il potenziale motorio.
Quindi all’osservazione di altri atleti in azione (dal vivo o in video), seguirà l’immaginazione delle sequenze motorie (allenamento ideomotorio), all’esecuzione pratica dell’atleta.
La strategia dell’ Imagery è preceduta da una breve seduta di rilassamento ed è spesso utilizzata prima delle partite come momento di concentrazione sugli schemi da eseguire.

Gestione dell'attivazione fisiologica (Gestione dell'Arousal)
Il termine arousal indica l’attivazione fisiologica e comportamentale dell’organismo: durante un’azione si attivano vigilanza ed attenzione, i muscoli si preparano allo scatto, e il cuore e i polmoni che si preparano allo sforzo.
È fondamentale per l’atleta poter raggiungere uno stato ottimale di attivazione psicofisiologica attraverso l’allenamento di tecniche che permettono di attivare o disattivare tale stato a seconda delle necessità.

Rilassamento
È importante prendere consapevolezza delle tensioni muscolari in attività e a riposo attraverso tecniche come il Rilassamento Progressivo di Jacobson, che permettono di gestire situazioni ansiogene e stressanti e sono preparatorie per la tecnica di Imagery.

Gestione dell’ansia
Lo stato di stress si verifica quando la persona sente non-corrispondenza tra ciò che gli è chiesto di fare (sfida) e ciò che si sente in grado di fare (livello di abilità).
Uno stato di stress prolungato può generare ansia, che dapprima si associa a eventi specifici, e successivamente, se non gestita, può estendersi anche ad altre situazione (anche a quelle che precedentemente non erano percepite ansiogene dal soggetto).
Non solo l’atleta professionista, ma anche un manager, un allenatore possono essere sottoposti a stress e a conseguente iper o ipo-attivazione .

Comunicazione
La necessità dell’atleta di comunicare e pianificare insieme ai propri compagni di squadra e all’allenatore può generare incomprensioni. Spesso proprio l’allenatore focalizza l’attenzione su aspetti di sviluppo motorio e di rendimento, tralasciando il fattore emotivo e cognitivo.
Si rivelano quindi di grande utilità incontri di gruppo tra atleti e allenatore, tra allenatore e dirigenti, e persino tra atleti della stessa squadra con qualche difficoltà di comunicazione coi compagni.

OBIETTIVI GENERALI:

Migliorare la prestazione atletica del giocatore attraverso l’allenamento di tecniche adatte al tipo di intervento, dando la possibilità di rendere autonomo l’atleta nel percorso del Mental training.
Attraverso il Mental training si svilupperanno e si rafforzeranno le abilità necessarie per il rendimento ottimale del singolo giocatore e della squadra, per il raggiungimento degli obiettivi e dei traguardi pianificati.

OBIETTIVI SPECIFICI:

Apprendimento delle abilità psico-fisiche quali:
la pianificazione degli obiettivi;
la comunicazione efficace (tra giocatori e giocatore-allenatore) e il dialogo interno;
i fattori di distrazione prima e durante la partita;
la motivazione e l’autostima;
la gestione psico-fisica dell’energia;
compiti per mantenere l’attenzione;
la gestione dell’ansia, la gestione dello stress;
il problem solving per creare collaborazione ed eliminare le tensioni;
lo stato di Flow (la capacità di immergersi nell’azione che si sta svolgendo)
la strategia “Five step strategy” (preparazione, immaginazione, concentrazione, esecuzione, valutazione) di Singer;
gestione delle emozioni che facilitano e di quelle che inibiscono;
il momento del pre-partita;
analisi degli obiettivi raggiunti e dei profili individuali dei singoli giocatori.

METODOLOGIA:

Il programma prevede 10 sessioni in 10 settimane, quindi una sessione alla settimana della durata di un’ora o un’ora e mezza, dipendendo dalle esigenze della squadra.
Terminati i 10 incontri il Mental trainer deciderà con il team sportivo se fermarsi o proseguire la collaborazione.

Si possono programmare sedute preparatorie pre-partita.

Il luogo dove si svolgeranno le sessioni dovrà essere fornito dal team e sarà uno spazio in cui la squadra o il singolo atleta non dovrà essere disturbata durante il lavoro dalla presenza di estranei o da rumori circostanti.

UTENTI:

SPORT DI SQUADRA:
Alle sessioni sono invitati a partecipare tutti i giocatori della squadra, e la presenza dell’allenatore è fondamentale.
Nel caso in cui un giocatore esprimesse il desiderio di avere un incontro individuale perché ha subito un infortunio, sta vivendo un lutto, o per qualsiasi altra esigenza, è possibile fissare delle sessioni individuali con tale giocatore.
La stessa disponibilità è prevista per l’allenatore o per il manager della squadra.

SPORT INDIVIDUALI:
Si effettueranno sessioni individuali con l'atleta e con l'allenatore




Realizzato da un articolo scritto dalla Dott. Marina Gerin Birsa, che mi ha assistito come docente del Master in Psicologia dello Sport presso Psymedisport Group